Federalismo immobiliare: Veneto spezzato

Federalismo immobiliare: Veneto spezzato

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Il federalismo municipale porterà più soldi al Veneto ma rischia di spaccare a metà i Comuni anche della nostra regione: insomma, sarà necessario introdurre meccanismi di “perequazione”, e cioè di grandi cifre raccolte e poi redistribuite dal potere centrale, che però rischiano di avere l’effetto per cui tutto cambia per lasciare tutto come prima. È la nuova dettagliata analisi svolta dal sen. Marco Stradiotto del Partito democratico, che con il sen. Paolo Franco (Lega) è uno dei rappresentanti veneti nella Commissione bicamerale per l’attuazione del federalismo che anche in questi giorni – nonostante il blocco della Camera per il voto sulla fiducia al Governo – continua a lavorare sullo “Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di federalismo fiscale municipale” del Governo.
SI INIZIA A CAMBIARE. Stradiotto ricorda che dal 2011 i trasferimenti ai Comuni saranno fatti in base a un “fondo sperimentale di riequilibrio” che mette assieme alcune tasse di rilievo locale: imposte di registro e di bollo, imposta ipotecaria e catastale, tributi catastali speciali, Irpef sui redditi fondiari e l’annunciata cedolare secca sugli affitti. Dal 2014, poi, a ogni Comune verrebbero date (in base al suo fabbisogno determinato con i costi standard) quote di gettito derivato da questi tributi relativi agli immobili presenti nel suo territorio. Ma non saranno le cifre giuste a reggere il bilancio. «la vera autonomia finanziaria per i Comuni – scrive Stradiotto – deriverà dall’Imu, l’imposta municipale unica che raggrupperà le attuali tasse comunali Ici, addizionale Irpef, ecc., e sarà in vigore dal 2014». È prevista anche una “imposta comunale secondaria” – a discrezione dei Comuni – che sostituirà le attuali Tosap-Cosap (occupazione spazi pubblici), tassa pubblicità, canone impianti pubblicitari.


CHI CI PERDE E CHI CI GUADAGNA? «Non voglio fare critiche da opposizione – sottolinea Stradiotto – ma solo tradurre in numeri quello che propone il decreto». E allora il senatore ha messo a confronto i trasferimenti ai Comuni dallo Stato per quest’anno con la somma dei «gettiti derivanti dalle imposte immobiliari che saranno devolute ai Comuni, più la cedolare secca sugli affitti. Insomma, chi ci guadagna e chi ci perde? Il Veneto, valuta Stradiotto, potrebbe puntare su 257 milioni di euro in più rispetto al miliardo di euro di trasferimenti attuali. Ma attenzione: a ricevere di più sarebbero 270 Comuni veneti, mentre gli altri 310 Comuni avrebbero una minore entrata. In particolare (vedi tabella sopra), grazie alla “ricchezza immobiliare” otterrebbero di più quasi tutte le province della regione, fatta eccezione per quella di Rovigo.
FAVORITE LE CITTÀ E I CENTRI TURISTICI. Ma «se analizziamo il dettaglio di ogni provincia – avverte Stradiotto – ci accorgiamo che il maggior gettito va a favore delle città capoluogo e dei Comuni turistici, mentre in quasi tutte le province la maggioranza dei Comuni viene danneggiata dal nuovo sistema». In pratica, quei 257 milioni in più si concentrerebbero in una fetta di Comuni solo, tanto che Stradiotto ha calcolato che ben 143, cioè più della metà, si concentrerebbero in soli 17 centri veneti. E tanto per fare esempi eclatanti il Comune veronese di Lazise prenderebbe il 570% in più di soldi, seguito da Rosolina, San Vito di Cadore e Jesolo. Per il Vicentino c’è Gallio subito dietro i primi, e tra i super-beneficiati spuntano Tonezza, Roana e Asiago. Ma c’è l’altra parte della medaglia: il vicentino Pedemonte sarebbe la maglia nera veneta perché perderebbe addirittura il 91% dei suoi fondi attuali (con ovvie “rivoluzioni” e richiesta immediata di annessione al Trentino, fa capire Stradiotto, così come il famoso Comune bellunese di Lamon che perderebbe il 60%). Inoltre, per restare ai vicentini, per Campolongo sul Brenta il salasso sarebbe del 63% e per Zovencedo del 58%.
«NON FUNZIONA». In sostanza, conclude Stradiotto, la “devoluzione del fisco sugli immobili” non funziona perché creerebbe un grande squilibrio tra i Comuni, con la necessità di grandi perequazioni per cui «alla fine non cambierebbe nulla perché quelli che producono di più sarebbero “taglieggiati” tanto per creare un fondo di redistribuzione da girare a chi produce poco»: tutto molto simile a quello che già avviene oggi. La commissione bicamerale dovrebbe accelerare perché «per introdurre la cedolare secca bisogna agire entro fine dicembre, ma il buon senso – conclude Stradiotto – dice che occorre trovare in riequilibrio».

Piero Erle

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