LA STRADA DIFFICILE PER DIVENTARE UN PAESE NORMALE

LA STRADA DIFFICILE PER DIVENTARE UN PAESE NORMALE

La strada difficile verso un Paese normale   (pubblicato su il Gazzettino del 29 marzo 2012)

Manovra salva Italia, liberalizzazioni, semplificazioni.Negli ultimi 100 giorni il governo Monti ha fatto moltissimo per portare il Paese fuori dal baratro. Ma tutto questo sarà sufficiente per far ripartire davvero la crescita? Temo di no. Qualsiasi intervento, anche il più ambizioso e incisivo sulla carta, rischia di rivelarsi non risolutivo senza un reale e drastico cambiamento di mentalità negli italiani.La verità è che, ci piaccia o no, da noi aleggia ormai da decenni – diffuso ben più di quanto non si ammetta – un senso di fastidio strisciante verso chi produce.Che si tratti di una grande industria o di una piccola impresa, di un negozio o di un centro commerciale, la reazione prevalente è la stessa: se non è cosa di “nostra proprietà” coviamo diffidenza e sospetto.Pesa una mentalità del “no” spesso pregiudiziale e indistinto:“No” alla Tav, ai rigassificatori, alle pale eoliche, alle centraline a biomassa, alle grandi e alle piccole infrastrutture. “No”, frequentemente, all’industria tout court, quale che sia. “No” addirittura alle imprese agricole, gli odori e i rumori danno fastidio. In alcuni comuni, con tanto di ordinanze, hanno pensato bene di vietare l’utilizzo dei trattori in diverse ore della giornata.L’importante, insomma, è “non avere fastidi”.

Al contempo, però, c’è la pretesa (legittima, sia chiaro) del posto di lavoro sicuro, possibilmente in ufficio (meglio se pubblico). Resta da capire come occupazione, benessere e diritti possano ragionevolmente essere conquistati e prosperare se poi il Paese non produce e non cresce.

L’economia italiana è bloccata non da ieri o da ieri l’altro, ma esattamente da 10 anni, come certificato dal Fondo Monetario Internazionale.Qualche dato per raccontare l’Italia dei “No”.Nel 2010, l’Italia ha registrato una spesa pubblica totale di 800 miliardi di euro, dei quali solamente 50 miliardi di spesa in conto capitale e i restanti 750 di spesa corrente. In questo calderone, a spulciare bene, troviamo alcune assurdità.Pensiamo ai rifiuti. Oggi è praticamente impossibile realizzare un termovalorizzatore. Per supplire a questa assenza siamo costretti a portarne enormi quantità in Germania. Dietro lauto pagamento, ovviamente. In buona sostanza, non abbiamo soldi da destinare alla ricerca e all’innovazione, eppure accettiamo di dare oltre 200 milioni di euro l’anno alla Germania affinché essa “reuse and recycle”, nei suoi termovalorizzatori, i rifiuti provenienti da alcuni comuni italiani incapaci di organizzare una raccolta differenziata funzionante e una seria valorizzazione dell’immondizia.Altro esempio: la combinazione energetica squilibrata dell’Italia.Dipendiamo prevalentemente dal gas, ma non ci poniamo il problema della sostenibilità economica di questa dipendenza. Nel frattempo ogni tentativo di riequilibrare il mix energetico, spostandolo verso altre fonti, s’incaglia sistematicamente nei veti incrociati dei territori e della pletora di comitati chiamati a dare un parere sulla materia. Risultato? Tutto bloccato. Questo determina pochi investimenti nazionali e la fuga di quelli stranieri, le imprese scappano e investono altrove. Emblematico è il caso della British Gas che dopo 10 anni decide di abbandonare il progetto del rigassificatore di Brindisi, ma basta restare a Porto Tolle, perché anche in questo caso sembra che l’Enel intenda rinunciare.In questo scenario, per compensare le mancate scelte infrastrutturali, il consumatore e le imprese si trovano a pagare bollette elettriche sempre più salate. Quanto costa la logica dei no sull’energia? Tanto, tantissimo. In Italia si paga l’energia elettrica il 20% in più rispetto alla Germania mentre il lavoro viene pagato il 20% in meno.Nonostante ciò, nascono e si rafforzano comitati che si propongono di ostacolare la realizzazione di qualsiasi infrastruttura, spesso capeggiati da cittadini che normalmente non hanno né il problema di arrivare alla fine del mese, né quello di perdere il proprio posto di lavoro; la cosa preoccupante è che spesso coloro che promettono il Paese dei balocchi trovano molti sostenitori proprio tra i disoccupati e i giovani.Chi ha avuto l’onore di fare il Sindaco o l’Amministratore locale sa bene di cosa parlo: tutti vogliono il cassonetto dei rifiuti vicino casa, ma possibilmente davanti alla casa di un altro. Così come tutti vogliono avere il cellulare con il massimo campo di ricezione, ma quando si deve installare l’antenna per garantire quella ricezione ecco che arrivano anatemi e scomuniche.Dunque, tutte le manovre per riequilibrare i conti pubblici o per liberalizzare il Paese non daranno i frutti sperati se insieme non si riuscirà a far cambiare la mentalità degli italiani. Certo non è semplice passare dal Paese dei furbi – quello dove vinceva la politica che prometteva solo strade in discesa, dove la colpa era sempre degli altri, dove l’evasione fiscale era un male necessario e lo slogan più efficace era “meno tasse per tutti”– al Paese in cui vincono i leader sinceri, onesti, che incarnano comportamenti coerenti con i sacrifici e con le norme che approvano. Solo seguendo questa strada si può sperare che il nostro diventi un Paese normale, in cui vengano premiati i cittadini migliori, quelli che rispettano le regole, dove si metta al centro l’obiettivo di creare lavoro e dove le infrastrutture si realizzino. Questa è l’unica strada praticabile se vogliamo garantire sviluppo e futuro al nostro Paese. L’alternativa è continuare a credere di potersi permettere il lusso, come recita un vecchio detto russo, di poter avere tutto, senza dover pagare il prezzo di nulla. Un’illusione pericolosa, che l’Italia ha coltivato già per troppo tempo.

Marco Stradiotto

 

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